6 luglio 2021, La Repubblica,
Poche settimane fa, durante un briefing al consiglio di sicurezza sul conflitto in corso nel Tigray, Mark Lowcock, sottosegretario generale delle Nazioni Unite, a capo di Ocha (l’ufficio per il Coordinamento degli Affari umanitari) era stato chiaro: “In Tigray si stanno compiendo crimini di guerra e crimini contro l’umanità, con l’uso sistematico degli stupri di massa come arma di guerra per umiliare, terrorizzare e traumatizzare un’intera popolazione”.
Se a ciò aggiungiamo le azioni compiute dall’esercito etiope sotto il comando del presidente Abiy Ahmed e dalle forze eritree del dittatore Isaias Afewerki, per distruggere silos e raccolti agricoli, serbatoi d’acqua, scuole e ospedali, ci rendiamo conto di quanto siano elevati i rischi di un nuovo genocidio nel continente africano. Samantha Power, da poco nominata da Joe Biden a capo di UsAid non ha usato mezzi termini: “E in corso un’azione criminale da parte dell’esercito etiope che già oggi sta riducendo alla fame quasi un milione di tigrini ed ha già provocato due milioni di sfollati e rifugiati”.
Questa volta la vittima è la popolazione tigrina guidata dal Tplf (Fronte Popolare di Liberazione del Tigray) di Debretsion Gebremichael, all’opposizione del governo di Abiy Ahmed e colpevole di avere indetto una elezione regionale non concordata con il governo centrale e di mantenere il controllo sulle forze armate della propria regione. Il Tplf si oppone storicamente tanto alle forze politiche delle etnie Amhara e Oromo, che oggi governano ad Addis Abeba, quanto all’Eritrea. Il conflitto, che sta devastando l’intero Tigray, rischia di produrre un effetto destabilizzante sull’intera Etiopia con riflessi ulteriori nel già instabile Corno d’Africa. E la guerra interetnica in corso non è priva di colpi di scena: domenica scorsa le forze tigrine hanno liberato la capitale regionale Makallè e catturato 6.000 soldati etiopi, smentendo la narrativa del presidente Abiy che aveva da poco annunciato la “liberazione” della regione ribelle….. continua la lettura su La Repubblica