8 maggio 2023, La Repubblica,
Durante l’incontro bilaterale Italia-Cina del 23 marzo 2019, il governo giallo-verde guidato da Giuseppe Conte fece aderire l’Italia al gruppo dei paesi partner del progetto della “Belt and Road Initiative”, la cosiddetta Nuova Via della Seta.
La firma del Memorandum of Understanding fu considerata un fatto storico da entrambi gli interlocutori. Per Xi Jinping il progetto della Nuova Via della Seta era il regalo della “saggezza cinese allo sviluppo mondiale”, per Il premier Conte e il suo vice Luigi Di Maio, la firma rappresentava una vittoria del “made in Italy”, che avrebbe spronato l’interscambio commerciale e le relazioni economiche, creando illimitate opportunità per le nostre imprese in estremo oriente.
I fatti di questi anni raccontano però una storia molto differente.
Per intanto, la firma del memorandum realizzava un inedito scostamento dell’Italia dai pilastri storici della propria politica estera: l’Europa e gli Usa. L’adesione al più importante progetto geo-politico della potenza cinese da parte di paese membro del G-7 e fondatore dell’Unione Europea produsse allora un terremoto nelle relazioni fra Italia e occidente ed una caduta della credibilità e dell’affidabilità del nostro paese.
Pochi giorni prima della firma del memorandum, l’Unione Europea aveva approvato le linee strategiche delle relazioni con la Cina nelle quali per la prima volta Pechino veniva definito un “rivale sistemico” e sempre in quei giorni Bruxelles era impegnata nella definizione delle strategie per la protezione delle reti 5G minacciate dalle tecnologie cinesi.
Il tentativo cinese, poi, di dividere l’Europa con il progetto 17+1, la piattaforma di cooperazione formata da dodici Paesi dell’europa orientale, più gli stati dei Balcani, per coordinare gli investimenti infrastrutturali nel quadro della nuova Via della Seta, iniziava a perdere i primi colpi di fronte a progetti sempre più insostenibili da un punto di vista finanziario, ambientale e geopolitico (Il Montenegro per citarne uno fra tutti)…. continua la lettura su La Repubblica