Mali

19 agosto 2020, Huffington Post,

Il colonnello della Guarda Nazionale Sadio Camara, con una formazione militare in Russia, è da oggi il nuovo uomo forte del Mali. Con lui, il generale Cheick Fanta Mady Dembelé, il colonnello Diaw e il col.Mama Sekou Lelenta, sono i capi militari che hanno orchestrato nella guarnigione di Kati il colpo di stato che ha fatto cadere il governo di Bamako.

Ieri mattina le forze ribelli hanno occupato il Palazzo Presidenziale e arrestato il Presidente della Repubblica Ibrahim Boubacar Keïta, il Primo Ministro Boubou Cissé, insieme a diversi uomini chiave della repubblica maliana: il ministro dell’Economia e delle Finanze Abdoulaye Daffe, quello degli Affari Esteri Tieblé Dramé e il Presidente del Parlamento Moussa Timbine.

Il colpo di stato non è ancora concluso e diverse fonti locali confermano che una parte dell’esercito è ancora fedele al Presidente Keita (“IBK” come viene chiamato da tutti) e risponde ancora agli ordini del Ministro della Difesa il generale Dahirou Dembélé. 

Il rischio dunque che il colpo di stato si trasformi in un’ulteriore deflagrazione del paese è estremamente concreto. 

Il conflitto in Mali aveva finora risparmiato la capitale Bamako per concentrarsi esclusivamente nelle aree del Nord del paese a partire dalla dichiarazione di indipendenza nel 2012 dell’Azawad (con capitale Timbuctu) da parte del Movimento Nazionale di Liberazione Tuareg di ispirazione laica, presto soppiantato dall’insorgenza jihadista Al Qaeda nel Maghreb, che ha condotto fino ad oggi un’estenuante guerriglia contro il governo centrale.

Il conflitto del Nord e ed i rischi per la tenuta dell’intero paese di fonte all’avanzata jihadista, avevano indotto la comunità internazionale a promuovere diverse missioni militari in sostegno al fragile governo centrale di Bamako.

La missione MINUSMA delle Nazioni Unite con oltre 15.000 soldati, attualmente una delle più grandi missioni di peacekeeping “rafforzato”, nata per sostenere il governo e l’esercito del Mali nel contrasto al jihadismo e per favorire un processo di riconciliazione nazionale; la missione EUCAP-Sahel promesso dall’Unione Europea per formare polizia ed esercito del Mali; l’Operazione Barkhane promossa dalla Francia con l’obiettivo di sconfiggere militarmente l’insorgenza qaedista diffusa nei 5 paesi del Sahel (Burkina Faso, Chad, Mali e Mauritania).

La missione militare francese, forte di 5.000 membri delle forze speciali, ha fin qui garantito un’elevata capacita di combattimento e di contrasto delle milizie jihadiste, ottenendo molti successi militari, riducendo di molto le capacità operative dei gruppo terroristi e garantendo la tenuta del Mali come stato unitario.

Il colpo di stato di ieri muta però profondamente la situazione sul terreno.

Diverse fonti a Bamako segnalano il sostegno ai militari ribelli da parte dei servizi segreti della Turchia (MIT) ed anche la possibile contiguità fra le unità ribelli dell’esercito maliano con i ribelli jihadisti del nord.

Se cosi fosse ci troveremmo di fronte ad tre missioni militari (quella francese, quella delle Nazioni Unite e quella dell’Unione Europea) autorizzate dal Consiglio di Sicurezza ed oggi in aperto contrasto con la nuova giunta militare sostenuta dalla Turchia ed a sua volta con rapporti ambigui con l’universo fondamentalista.

Tale scenario aprirebbe un nuovo ed enorme problema nei rapporti fra Alleanza Atlantica e Turchia, già fortemente compromessi in seguito al ruolo turco nel conflitto siriano (alleata con Russia, Assad e nemica dei Kurdi) ed alla recente tensione nel Mar Mediterraneo con altri due membri dell’alleanza: Grecia e Cipro.

Nei mesi scorsi, Italia, Rep.Ceca, Belgio e Svezia, avevano dichiarato la propria disponibilità ad inviare in Mali proprie forze speciali da inquadrare all’interno dell’Operazione Barkhane (che già oggi vede già impegnati oltre i francesi, cento membri delle forze speciali dell’Estonia).

L’Italia in particolare aveva già previsto l’invio di circa 200 militari e 8 elicotteri.

Il golpe in corso muta però profondamente le condizioni sul terreno, con il rischio di una degenerazione del conflitto sul “modello siriano”, con la Turchia pronta a sostenere contemporaneamente una giunta militare amica, le milizie jihadiste, rendendo così sempre più complessa la presenza internazionale di Francia, Europa e Occidente nel Sahel.

Come già capitato per la Prima, la Seconda Guerra Fredda rischia di avere molti fronti “caldi” nel continente africano.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *