6 novembre 2021, La Repubblica, Robinson,

Masha Gessen ci stupisce di nuovo con un libro che è tante cose insieme: un reportage, un libro di storia, una biografia. Nel saggio “Dove gli Ebrei non ci sono, La storia triste e assurda del Birobidzan”, edito dal Giuntina, l’autrice racconta la storia incredibile della nascita e del declino del “Yevreyskaya Avtonomnaya Oblast”, il Territorio Autonomo degli Ebrei, fondato dal Stalin all’inizio degli anni ’30 e noto come il Birobidzan.

Il Birobidzan è stato uno dei due Stati ebraici esistenti al mondo, ma a differenza dello stato di Israele, non è mai stato veramente popolato dagli ebrei. Quando venne fondata da Stalin nel 1932 gli oltre 30.000 ebrei che vi emigrarono  percorsero migliaia di chilometri per raggiungere quel remoto avamposto siberiano fra paludi ghiacciate, permafrost e terra dura. Siamo alla confluenza dei fiumi Bira e Bidzan, entrambi tributari del grande Amur che con il Trattato di Nercinsk del 1689, diventò il confine fra le aree di influenza russe e cinesi nell’estremo oriente siberiano a nord della Manciuria.

Ma la cittadina di Birobidzhan, sperduta fra la Manciuria cinese e la Siberia russa, è anche l’esito tormentato della contrapposizione fra due correnti di pensiero ebraico che si sono duramente confrontate all’inizio del secolo scorso: il Bund (la Lega generale dei lavoratori ebrei di Lituania, Russia, Polonia) e il movimento sionista fondato da Theodor Herzl.

Sullo sfondo, la tormentata storia degli ebrei di Russia: cinque milioni all’inizio del secolo scorso, confinati in “zone di residenza” nelle aree più povere della Russia, banditi dall’amministrazione pubblica, sempre in fuga dai continui pogrom.

Solo fra il 1881 e il 1914 ben due milioni di ebrei russi emigrarono negli Stati Uniti e 60 mila in Palestina. La rivoluzione bolscevica rappresentò per molti di loro un occasione di riscatto e di emancipazione e nel 1917 gli ebrei aderirono in massa alla Rivoluzione. 

Ma furono anche anni di duro scontro politico fra il “bundismo” e il sionismo.

I comunisti ebrei del Bund erano decisamente anti-sionisti con l’obiettivo di edificare una “nazione ebraica senza Stato”; i sionisti per la nascita di uno Stato ebraico in Palestina, con una sua capitale naturale: Gerusalemme.

In questo scontro fra visioni antagoniste, l’allora presidente del Soviet supremo Michail Kalinin propose a Stalin di creare una regione autonoma  per gli ebrei: una “Sion rossa”, un’alternativa comunista per frenare le ondate migratori degli ebrei verso Palestina e America.

Era il 1934 e mancavano solo 16 anni alla proclamazione dello Stato di Israele, e le autorità spedirono a Birobidzhan migliaia di famiglie ebree, per costruire uno stato ebraico socialista e ateo, con l’Yiddish e non l’ebraico come lingua nazionale.

Il sogno finì presto sotto le nuove purghe staliniane degli anni ’50 che colpirono interi popoli, grandi parte della dirigenza bolscevica e anche gli ebrei della remota regione siberiana. 

Masha Gessen ripercorre con fonti inedite la tragica storia degli ebrei del Birobidzan e il fallimento del progetto di uno stato ebraico nell’estremo oriente siberiano: “forse la peggiore buona idea mai concepita…”

Qualche anno fa ci sono andato in Birobidzhan percorrendo in treno gli 8.230km che lo separano da Mosca e le icone dell’ebraismo che non ha mai attecchito sono oggi soltanto una testimonianza di una delle vicende tragiche e meno note della diaspora. Le insegne stradali sono in russo ed in yiddish ed appena scesi da treno fa bella mostra di sé una scultura in bronzo con l’eroe popolare ebraico inventato da Sholem Aleichem: Tewje il lattivendolo, l’icona dei primi pionieri. Fra le due vie principali, la Ulitsa Lenina  e la Ulitsa Sholem Aleichem, si trova l’ultima Sinagoga, il Museo e il Centro Culturale Ebraico, l’Obshina Frejd (pace in yiddish). 

Anche se la regione continua a chiamarsi oggi il “Territorio Autonomo degli Ebrei”, ne sono rimasti solo più 1.600, che rappresentano soltanto lo 0,5% dell’intera popolazione. E questi sono gli ultimi lettori del settimanale Birobidjaner Sthern, che ha ripreso di recente le sue pubblicazioni, mache, come racconta la Gessen,“è un giornale in lingua yiddish, senza residenti in lingua yiddish”.

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