15 marzo 2020, Huffington Post
Autocrazie sempre più assertive che esportano instabilità. Regimi e dittature che schiacciano le opposizioni. Libertà negate, discriminazioni etniche e religiose, soprusi e uso indiscriminato della forza. Una mappa della lotta per i diritti e la democrazia. «Le voci del dissenso di Russia, Cina, Hong Kong, Tibet, Iran, Turchia, Siria, Iraq, Bielorussia, interpellano le nostre coscienze e che ci chiedono di agire in un mondo che rischia di diventare sempre meno libero». “Dissidenti. Da Aleksei Navalny a Nadia Murad, da Azar Nafisi al Dalai Lama:incontri con donne e uomini che lottano contro i regimi” è pubblicato da Rizzoli.
Leonid Volkov e Alexei Navalny, contro la corruzione per la democrazia
«Crede che Putin sia un killer?» chiede George Stephanopoulos della ABC al presidente Joe Biden, in un’intervista del 17 marzo 2021. Il presidente degli Stati Uniti risponde in modo diretto: «Yes, I do». Tre parole che hanno spazzato via lunghi anni di un Occidente remissivo nei confronti della crescente deriva autoritaria di Mosca. L’uccisione e l’avvelenamento seriale di molti potenziali leader avversi al Cremlino; l’accanimento, l’arresto e la fuga di personalità sgradite; l’esilio volontario di numerosi intellettuali sono la cornice in cui si sono ridotti progressiva mente gli spazi di libertà nel Paese, con una situazione che è peggiorata giorno dopo giorno.
La storia di Alexei Navalny, l’attuale nemico numero uno di Vladimir Putin, non si è ancora conclusa e all’arbitrario arresto al suo rientro in Russia dopo le cure in Germania, in seguito all’avvelenamento con l’agente nervino Novichok, è seguito il suo trasferimento in una prigione di massima sicurezza vicino alla città di Vladimir, in cui è ancora rinchiuso in condizioni estremamente dure e con un peggioramento progressivo delle condizioni di salute.
Ma l’accanimento contro Navalny non è bastato al regime. Proseguono a ritmo serrato gli arresti di quasi tutti i dirigenti della Fondazione anticorruzione, dalla giovane avvocatessa Lyubov Sobol, condannata a un regime di arresti domiciliari per ventotto mesi, alla leader dell’Alleanza dei medici Anastasia Vasilieva, arrestata e rilasciata diverse volte nell’ultimo anno, fino all’esilio in Lituania del direttore della fondazione stessa Leonid Volkov, insieme all’arresto di tutti i circa duecento partecipanti del recente Forum dei consiglieri municipali indipendenti eletti in quasi tutte le regioni della Russia.
E poi ancora l’arresto di Lilia Chanyševa, la coordinatrice della fondazione anticorruzione nella città di Ufa, nella repubblica autonoma della Baschiria, e la fuga all’estero alla fine del mese di novembre del 2021 di Irina Fatyanova, la responsabile del Team Navalny nella città di San Pietroburgo. Un esodo senza fine, che segna la nascita di una nuova generazione di dissidenti in fuga da un regime che è ormai diventato una dittatura alle porte dell’Europa.
…Il 13 ottobre 2021 Alexei Navalny è riuscito a far filtrare dal carcere di Vladimir una lettera scritta di suo pugno su un piccolo quaderno a righe e rivolta alle decine di migliaia di sostenitori, agli attivisti sparsi in ogni angolo della Russia, a quanti continuano il lavoro della Fondazione anticorruzione dall’estero. Leonid Volkov, in esilio a Vilnius e coordinatore del Team Navalny, me ne ha inviata una traduzione. La lettera è divisa in sei punti con i quali il leader incarcerato analizza i fatti recenti e soprattutto interpreta i risultati dell’ultima campagna di smart voting lanciata dal movimento in occasione delle elezioni legislative del 17-19 settembre 2021 per indebolire il partito di regime di Russia Unita. Navalny invita innanzitutto i suoi sostenitori a non aver paura, a evitare di autocensurarsi o di limitare le proprie azioni politiche nel timore che ci possano essere rappresaglie nei suoi confronti. «Continuate a lavorare senza voltarvi» scrive «non negozieremo con terroristi che prendono ostaggi.»
Navalny si congratula poi con i membri del suo team per avere «dato uno schiaffo ai ladri di Russia Unita», costringendo il Cremlino a mobilitare un intero arsenale di frodi per neutralizzare la campagna del «voto intelligente». «Abbiamo creato una maggioranza» aggiunge «e l’insieme dei candidati sostenuto dalla campagna di voto intelligente ha superato gli elettori di Russia Unita.»
La Russia di Putin per Navalny è in un vicolo cieco: «Non ci sarà nessuna innovazione tecnologica, non ci sarà crescita del PIL, non ci saranno miglioramenti nell’istruzione e nella sanità», e prevede un futuro nero per il Paese fatto di «degrado, ritardi nello sviluppo e aumento dei prezzi». Poi si rivolge ai membri del suo team, in gran parte in esilio fuori dalla Russia: «Il nostro movimento si è evoluto e sta cambiando… non è ancora chiaro che cosa siamo diventati, ma certamente qualcosa di bello, veloce, coraggioso e con i denti affilati».
Poi parla del nuovo status da dissidenti in esilio dei suoi collaboratori. «Il vostro dilemma se sia stato giusto o meno lasciare il Paese è lo stesso dilemma che ha tormentato per secoli l’opposizione in Russia, ma vi invito a considerare la vostra nuova condizione come da “lavoratori da remoto”, più che da “emigrati”. Viviamo in un mondo globalizzato e a pochi interessa dove sei seduto con il tuo laptop. Ciò che conta è ciò che fai.» Infine conclude: «Siete la speranza per tutta la Russia e meritate di essere amati e apprezzati ancora di più in questi tempi difficili».
Uno dei collaboratori è proprio Leonid Volkov, capo dello staff di Alexei Navalny, nonché coordinatore nazionale, prima che venisse dissolta, della rete capillare di oltre quaranta uffici, da San Pietroburgo a Vladivostok, che faceva riferimento al leader dell’opposizione democratica russa. Dopo la messa al bando da parte delle autorità, dirige le operazioni politiche e coordina le campagne di Navalny dal suo esilio di Vilnius, in Lituania, dove l’ho incontrato nel giugno del 2021.
Abbiamo dialogato da allora diverse volte e a tutto campo sul futuro della Russia e sulle prospettive dell’opposizione democratica, e ci siamo sentiti dopo i risultati della campagna di «voto intelligente» e dopo la messa al bando dell’associazione Memorial. Leonid Volkov ripercorre il 2021, un anno straordinario e tragico per il suo Paese: «Il 17 gennaio Alexei Navalny ha fatto la scelta coraggiosa di rientrare in Russia dopo l’avvelenamento di Tomsk e le cure in Germania, ed è stato subito arrestato. Pochi giorni dopo, il 23 gennaio, c’è stata una grande mobilitazione con oltre centonovanta città coinvolte: dai quarantamila manifestanti di Mosca alle centinaia di Jakutsk che hanno sfidato le temperature di cinquanta gradi sottozero».
«Lo stesso giorno» prosegue «abbiamo reso pubblica la videoinchiesta sul “Palazzo di Putin”,4 che abbiamo definito come la “storia della più grande tangente del mondo”, rivelando i retroscena della costruzione di una gigantesca residenza sul Mar Nero vicino alla cittadina di Gelendžik, costata oltre cento miliardi di rubli (un miliardo e centottanta milioni di euro), per realizzare un complesso di un lusso sfrenato e pacchiano, con soldi provenienti da aziende di Stato e oligarchi vicini a Putin.»
Il video inizia con una musica incalzante e con un breve testo: «Nell’agosto del 2020 Alexei Navalny, su ordine di Putin, è stato avvelenato con il Novichok, un agente chimico militare […] è sopravvissuto ed è tornato in Russia per essere immediatamente arrestato all’aeroporto di Mosca […] il 18 gennaio un tribunale lo ha illegalmente arrestato e incarcerato nella prigione Matrosskaja Tishina […] per molti anni Navalny ha lottato per i nostri diritti. Ora è tempo di combattere per lui».
E dopo l’invito a scendere in piazza in tutta la Russia, il 23 gennaio ecco che appare Alexei Navalny seduto su una panchina in Germania: «Priviet, eta Navalny. Ciao, sono Navalny. […] Abbiamo iniziato questa inchiesta quando ero ancora in terapia intensiva e abbiamo subito deciso che l’avremmo resa pubblica il giorno in cui fossi tornato in Russia, perché non vorremmo che il principale protagonista di questo film pensasse che abbiamo paura di lui, raccontando i suoi peggiori segreti, mentre siamo all’estero».
Navalny, con quella faccia da simpatico vicino di casa, diventa irriverente e provocatorio come sempre e va dritto al punto attaccando il mandante del suo avvelenamento: Vladimir Putin. «Questa più che un’inchiesta è in un certo senso un ritratto psicologico per capire come un normale funzionario sovietico sia diventato un matto ossessionato dal lusso e dal denaro e letteralmente pronto a distruggere il proprio Paese e a uccidere per l’attaccamento al suo bottino d’oro.»
Le quasi due ore che seguono sono un manuale del giornalismo d’inchiesta e della lotta politica del nuovo millennio contro satrapi e dittatori. La vita di Vladimir Putin e della sua cerchia di uomini fidati viene analizzata e raccontata nei dettagli fin da quando l’attuale presidente era un agente del KGB a Dresda e poi vicesindaco a San Pietroburgo. Al tempo stesso viene raccontata con grande efficacia la nascita del sistema di oligarchi vicini al presidente che hanno depredato le risorse naturali, economiche e finanziarie della Russia. Il Palazzo di Putin è l’apoteosi di un sistema clanico e corrotto: un trionfo di gigantismo, ruberie e cattivo gusto che ricorda più una villa sequestrata al clan dei Casamonica che la residenza di un leader di una potenza mondiale.
La residenza, progettata dall’oscuro architetto bergamasco Lanfranco Cirillo, si estende su un territorio grande trentanove volte il Principato di Monaco, protetto da una no-fly zone e inaccessibile da parte di qualunque cittadino. Navalny e la squadra della Fondazione anticorruzione descrivono nel dettaglio come il complesso – che include una chiesa, un campo di hockey, un eliporto, una discoteca e la gigantesca residenza – sia stato finanziato e costruito grazie a un articolato sistema di bugie, corruzione e documenti falsi che vedono incrociarsi funzionari dell’intelligence russa, diversi enti dello Stato e la cerchia degli oligarchi fedelissimi al presidente. In sintesi: «Questo palazzo è molto più di un palazzo,» dice Navalny «è il simbolo di vent’anni di regime di Putin, una metafora del suo modo di concepire il governo del Paese». La video-inchiesta ha un impatto molto forte in tutta la Russia e nei primi dieci giorni dalla sua pubblicazione su YouTube supera i cento milioni di visualizzazioni.
«Il 21 aprile 2021» riprende Leonid Volkov «migliaia di russi hanno nuovamente sfidato il regime per chiedere la liberazione di Alexei Navalny. Ci sono state manifestazioni in oltre centocinquanta città. A Mosca la partecipazione è stata al di là delle nostre aspettative, con oltre sessantamila partecipanti, che con grande coraggio hanno sfidato i divieti rischiando pestaggi, denunce e arresti. Accanto a chi ha il coraggio di scendere in piazza, ve ne sono centinaia di migliaia di altri che condividono le denunce della Fondazione anticorruzione e la nostra proposta politica.»
«Se si dà uno sguardo a tutti gli ultimi sondaggi,» mi ricorda Leonid Volkov «ci viene attribuito un consenso nazionale intorno al venti per cento, che fa di noi la seconda forza politica del Paese dopo il partito di Putin, Russia Unita. Ma non possiamo registrare un partito, né partecipare alle elezioni nazionali per la Duma (il Parlamento) e a quelle locali, e nonostante il controllo assoluto dei mezzi di informazione, il partito di Putin raggiunge soltanto il ventisette per cento dei consensi. Solo Internet è ancora parzialmente libera, ma anche qui la libertà si sta progressivamente riducendo.»
La sensazione diffusa fra l’opposizione russa è che Vladimir Putin sia alla fine del suo ciclo ventennale e che tema la riduzione dei consensi e l’isolamento internazionale. «Il discorso di Putin sullo stato dell’Unione di quest’anno è stato sorprendentemente debole. Putin ha dovuto abbandonare la tradizionale retorica aggressiva, per occuparsi essenzialmente dei gravissimi problemi economici e sociali della Russia. Teme un crollo di consensi alle prossime elezioni generali. Il reddito medio delle famiglie in Russia è diminuito costantemente da otto anni. La gente si aspetta da lui che spenda soldi non solo per bombardare la Siria, ma per ricostruire le infrastrutture, risistemare il sistema sanitario, migliorare il welfare.»
Per Leonid Volkov, tuttavia, Putin non è soltanto debole all’interno della Russia, ma è crollata anche la sua credibilità internazionale: «C’è certamente una crescente tensione fra l’Occidente e la Russia, ma la Russia non è più una superpotenza. La sua economia non raggiunge l’1,5 per cento del PIL globale. Il tentativo di Putin di riprodurre un mondo bipolare, in cui la Russia è uno dei poli, è fuori dalla realtà, come vedo difficile una nuova alleanza strategica fra Russia e Cina».
«In che senso?» gli chiedo. «Al massimo si tratterà di un’attività di mergers and acquisitions… anzi solo di acquisitions… La Cina è incomparabilmente più forte sia da un punto di vista economico sia politico. Un’alleanza con la Cina non avrebbe alcun senso per la Russia, che al massimo potrebbe essere un “satellite”, come si sarebbe detto una volta. E la Russia ha solo due alternative: o diventare uno Stato vassallo della Cina autoritaria o far parte di una grande Europa.»
Ma Putin ha un problema in più, ed è questo che lo porta a tentare di mantenere il potere il più a lungo possibile: «Da quando ha commesso dei crimini di guerra» attacca Volkov «come l’annessione della Crimea, la guerra in Donbass, l’abbattimento dell’aereo MH17 della Malaysia Airlines, ha scelto una via di non ritorno: non può certo immaginare per lui un sereno pensionamento in Toscana a coltivare pomodori…».
E l’Europa e l’Occidente dovrebbero fare di più: «Vi chiediamo di “seguire i soldi” di Putin in Europa. Servono sanzioni mirate in grado di colpire gli oligarchi della cerchia di Putin che hanno invaso di denaro l’Europa, con fondi frutto di corruzione, truffe e arricchimento illegale. È nel vostro e nel nostro interesse che vengano realizzate in modo diffuso sanzioni mirate con il modello delle leggi Magnitsky».
Per Volkov, come per Kasparov, il posto della Russia nel mondo è chiaro: «Noi immaginiamo una Russia pienamente ancorata e integrata in Europa: letteratura, storia e cultura descrivono una comune appartenenza. Noi ci sentiamo europei. E questo per noi significa soprattutto Stato di diritto,
istituzioni democratiche, elezioni libere e competitive, stampa libera, magistratura indipendente».
Nonostante gli arresti, le intimidazioni, la messa al bando della loro organizzazione c’è ancora molto ottimismo nelle parole dei leader dell’opposizione democratica russa. «Con i nuovi provvedimenti adottati dalla magistratura siamo diventati una “organizzazione estremista”, con un trattamento sostanzialmente equiparato a un’organizzazione terroristica: congelamento di tutti i conti bancari, sequestro dei nostri uffici, arresti di massa dei nostri responsabili nelle varie città. Ora il mio lavoro di coordinamento del Team Navalny si svolge da qui, da Vilnius, in Lituania.
A cominciare dall’organizzazione della campagna di smart voting con l’endorsement di centinaia di candidati di diverso orientamento politico, con un obiettivo chiaro: sconfiggere quanti più candidati possibile del partito di regime di Russia Unita. Dei 450 membri della Duma, il Parlamento russo, 255 sono eletti in liste di partito e 255 in collegi elettorali, in ognuno di questi collegi c’è un candidato da noi sostenuto. Poi ne abbiamo sostenuti altri 1234 nelle elezioni dei parlamenti degli oblast’, delle repubbliche autonome, e nei consigli municipali delle città più importanti. Questa scelta ci ha permesso di raggiungere almeno due obiettivi: indebolire il partito di Vladimir Putin, impedendo che gli eletti venissero decisi fra le mura del Cremlino, e creare una vera competizione politica.»
Ma non tutto è andato come avrebbe potuto. La reazione del governo russo contro la campagna di «voto intelligente» è stata durissima: il sito dell’organizzazione è stato bloccato durante i tre giorni delle elezioni; Apple e Google, dopo avere ricevuto ripetute minacce, hanno rimosso dai loro store online la app di smart voting; Telegram ha disattivato il canale durante il voto; a decine di candidati indipendenti è stato impedito di presentare le proprie candidature; il numero di segnalazioni di brogli è cresciuto esponenzialmente.
Eppure Leonid Volkov crede che, date le terribili condizioni sul campo, la campagna abbia funzionato: «La campagna di smart voting è riuscita a eleggere ottantatré deputati nei parlamenti regionali, ventidue nelle assemblee comunali e quindici nella Duma di Stato. Nella Repubblica di Komi, un ottimo candidato, Oleg Michailov, ha sconfitto Russia Unita. A Samara, nel 162° distretto, siamo riusciti a fare eleggere un candidato alla Duma; nella regione di Jaroslavl’, Russia Unita ha perso contro i candidati che sostenevamo in entrambi i distretti e altri undici deputati in diverse regioni sono stati eletti grazie al nostro sostegno. Nelle elezioni regionali e comunali abbiamo eletto il 10,4 per cento di tutti i candidati, con centocinque fra deputati e consiglieri. Solo nel consiglio regionale di Lipeck abbiamo eletto dieci deputati e nell’Assemblea legislativa della Repubblica dell’Altaj ne abbiamo eletti nove, facendo perdere dodici seggi a Russia Unita».
Il 15 dicembre 2021 Daria Navalnaya, figlia di Alexei Navalny, e Leonid Volkov erano a Strasburgo per ritirare il premio Sacharov, che il Parlamento europeo ha deciso quest’anno di assegnare al leader dell’opposizione democratica russa. Accettando il premio a nome del padre, la ventunenne Daria Navalnaya ha criticato l’appeasement nei confronti dei dittatori che l’Occidente ha impiegato nel nome della Realpolitik e del pragmatismo, e ha insistito sul fatto che l’Europa rimanga fedele ai suoi ideali: «Quando ho scritto a mio padre per chiedergli: dal tuo punto di vista, cosa vuoi che dica esattamente nel discorso? lui mi ha risposto: digli che nessuno deve azzardarsi a equiparare la Russia al regime di Putin. La Russia fa parte dell’Europa e ci sforziamo di diventarne parte. Ma vogliamo anche che l’Europa si sforzi di rimanere fedele a se stessa, a quelle idee straordinarie che ne costituiscono il fulcro. Ci impegniamo per un’Europa delle idee, per la celebrazione dei diritti umani, per la democrazia e l’integrità».
La sinossi di “Dissidenti”
Esiliati, incarcerati, perseguitati. Sono i nuovi dissidenti di Russia, Cina, Hong Kong, Tibet, Bielorussia, Turchia e Iran. Donne e uomini semplici e straordinari che con la forza della parola e dell’esempio hanno denunciato genocidi, violenze di Stato, abusi. Gianni Vernetti ci accompagna in un racconto appassionante fra le montagne del Kurdistan, dove i combattenti curdi hanno sconfitto le milizie jihadiste dell’Isis; sulle pendici dell’Himalaya, dove un pugno di monaci coraggiosi ha salvato la millenaria cultura tibetana; nella piccola e combattiva Lituania, che ha conosciuto tutti i totalitarismi del secolo scorso e oggi accoglie i dissidenti di Russia e Bielorussia; nell’isola di Taiwan, che resiste all’autoritarismo cinese. Un viaggio avvincente accompagnato dai racconti dei protagonisti che hanno alzato la voce contro regimi autoritari sempre più assertivi, pagando sulla propria pelle la loro scelta.
Da Nathan Law, leader delle proteste di Hong Kong, a Svjatlana Tsikhanouskaja, eletta a presidente della Bielorussia ma costretta all’esilio; da Aleksei Navalny, Leonid Volkov, Garry Kasparov e Mihail Khodorkovsky, spine nel fianco del regime di Vladimir Putin, a Masih Alinejad che si batte per i diritti delle donne in Iran, passando per il Dalai Lama e Dolkun Isa, testimoni della tragedia di tibetani e uiguri; fino a Denis Mukwege, medico premio Nobel che cura le donne vittime di abusi sessuali in Congo. Vernetti riesce, con un’analisi attenta di questa stagione di recessione democratica, a tracciare una precisa geografia del dissenso, spiegando con passione perché la battaglia per i diritti umani, lo stato di diritto, la libertà delle donne debba essere raccolta dai Paesi liberi.