30 novembre 2022, La Repubblica

La Repubblica Popolare Cinese è in corto-circuito e dopo tre anni non riesce a uscire dal tunnel della pandemia, nata nella città di Wuhan e da lì diffusasi in tutto il pianeta.

Le rivolte esplose in questi giorni in tutto il paese, dalla metropoli di Shanghai, alla remota Urumqi nel Xinjiang popolato dalla minoranza uigura perseguitata, fino a Nanchino a poi nel cuore dell’impero, all’università Tsinghua di Pechino, rappresentano il caso più clamoroso di resistenza al regime dai tempi della rivolta di Piazza Tienanmen del 1989.

Tutto è iniziato lo scorso 13 ottobre con la protesta solitaria di un uomo, forse

Peng Zaizhou, che ha esposto uno striscione sul ponte Sitong nella capitale. Poche frasi che hanno aperto una voragine: “Basta test PCR, vogliamo cibo; basta lockdowm, vogliamo la libertà; basta bugie, vogliamo dignità; basta Rivoluzione Culturale, vogliamo riforme; basta dittatori, vogliamo elezioni; non vogliamo essere schiavi, ma cittadini”. Poi le dirette sui mondiali di calcio del Qatar, grazie alle quali i cittadini cinesi hanno potuto osservare un mondo senza più mascherine e tornato finalmente alla normalità, hanno fatto il resto.

Ma la rivolta contro la gestione brutale e violenta della crisi pandemica e contro il sequestro prolungato da tre anni di milioni cittadini, sono solo l’ultimo capitolo di una vicenda -la crisi del Covid- cha le Cina non ha saputo ancora metabolizzare.

La narrativa cinese sulla pandemia è stata altalenante. Prima c’è stata la negazione del Covid e della pandemia tout-court (chi si ricorda ancora di Li-Wenliang, il medico di Wuhan arrestato nel dicembre de 2019 per avere lanciato i primi “warning” sulla nuova infezione e poi morto di Covid?); poi l’esibizione muscolare, l’annuncio di avere sconfitto il virus promuovendo una falsa narrativa per screditare l’Occidente, facendolo apparire debole e disorganizzato nel fron­teggiare l’emergenza. Poi ancora la chiusura del paese alle ispezioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità con la diffusione di dati bassissimi su contagi e decessi (ancora oggi la Cina dichiara un improbabile numero di contagi pari al Lussemburgo, con duemila volte meno abitanti)…continua la lettura su La Repubblica

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