7 settembre 2018, La Stampa,

Si è riunita ieri a Teheran la “triplice alleanza” fra Russia, Turchia e Iran e Vladimir Putin, Recep Tayyip Erdogan e Hassan Rohani si sono incontrati di nuovo dopo i primi due vertici a Sochi e ad Ankara.

Sul tavolo, il nodo dell’enclave di Idlib e l’assetto finale della Siria dopo sei anni di devastante guerra civile che sta per giungere a conclusione.

Ma sul tappeto c’è molto di più: oggi sapremo se la nuova alleanza tra Russia, Turchia e Iran potrà davvero rimodellare il Medio Oriente, cambiare gli equilibri regionale e persino scardinare la NATO, oppure se il “pantano” siriano dominerà la scena e valorizzerà i contrasti fra i tre paesi.

Russia, Turchia e Iran, hanno storicamente obiettivi diversi, e spesso contrastanti fra loro, frutto di una combinazione di fattori “interni” e “regionali”.

La Turchia è scossa da una profonda crisi economica con un’inflazione insostenibile ed una progressiva caduta della Lira Turca.

La svolta autoritaria e islamista di Erdogan ha cambiato a fondo la Turchia e dopo il fallito golpe dell’estate del 2016 il paese è irriconoscibile e sempre più distante da Europa e occidente. 

Il leader del principale partito curdo Salahattin Demirtas ha condotto la campagna elettorale dal carcere di Edirne; la stampa libera non esiste più; decine di migliaia di insegnati, giornalisti, magistrati e militari sono ancora incarcerati per contiguità con il “complotto gulenista”.

La Turchia è sempre stata come minimo ambigua sul dossier siriano, svolgendo la gran parte delle proprie operazioni militari non tanto contro i jihadisti, ma contro i curdi siriani di YPG e le Forze Democratiche Siriane (SDF), che sono stati il principale alleato dell’occidente sul terreno ed uno strumento militare efficace per distruggere ISIS e il Califfato.

La Turchia si è anche progressivamente allontana dalla NATO: ha ottenuto dal Cremlino la tecnologia nucleare civile per coprire il 10% del proprio fabbisogno energetico ed ha acquistato da Mosca le batterie antimissile S-400.

Gli obiettivi di Mosca sono chiari: consolidare la propria presenza nel Mediterraneo con la base permanente di Tartus sulle coste siriane; salvare il prezioso alleato Assad e fare della nuova Siria uno “stato vassallo”; inserire un cuneo profondo nell’Alleanza Atlantica, lavorando per allontanare definitivamente la Turchia dalla NATO e dall’occidente.

Al tempo stesso la Russia non sostiene apertamente la Turchia nel suo conflitto armato contro i Curdi, anche se, senza la luce verde di Mosca, sarebbe stato impossibile per Erdogan lanciare le due operazioni militari “Scudo dell’Eufrate” e “Ramoscello d’Ulivo”, grazie alle quali ha cacciato i curdi dall’enclave di Afrin e di El Bab, occupando militarmente quella parte del nord della Siria che proprio i curdi avevano espugnato da Al Qaeda e da ISIS.

L’Iran è forse il paese che più ha investito i Siria in termini di uomini e mezzi: sono ancora migliaia i miliziani di Hezbollah impegnati in azioni di supporto all’esercito regolare siriano e il flusso di armi e rifornimenti fra Iran e Siria è ininterrotto da diversi anni.

L’Iran persegue diversi obiettivi in Siria: realizzare il sogno della “mezzaluna sciita” per creare un territorio di influenza politico e militare fra le montagne della Persia e il Mar Mediterraneo, giungendo a minacciare Israele fino alle sue frontiere settentrionali; riproporre in Siria l’efficace “modello Hezbollah”, finanziando e sostenendo  militarmente una ampia rete di milizie in grado di condizionare la vita politica siriana; reagire in qualche modo al forte indebolimento economico prodotto dalle sempre più dure sanzioni USA.

Anche se con obiettivi non sempre collimanti, la “troika” che si è riunita a Tabriz condizionerà in modo determinante gli esiti del conflitto in Siria e forse farà anche nascere qualcosa di più duraturo. Di certo, proverà a colmare il vuoto lasciato da USA ed Europa, purtroppo non più protagonisti in uno dei più importanti dossier mediorientale.

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