Consiglio Europeo

26 marzo 2021, Huffington Post,

Il vertice di ieri del Consiglio Europeo non è andato bene. Nelle cinque ore di incontro online, i leader dei 27 paesi si sono quasi esclusivamente focalizzati sulla lotta alla pandemia, che nel vecchio continente va purtroppo a rilento.

La campagna di vaccinazioni non è  mai veramente decollata, incartandosi fra il “giallo di Anagni” con i milioni di dosi di AstraZeneca stoccati alle porte di Roma, le incapacità produttive dell’Europa, una logistica difettosa, forniture dettate da tempi troppo lunghi e accuse all’interno dell’Europa su una distribuzione non sempre equa.

Ma ieri c’è stato anche un “bicchiere mezzo pieno”.

Alle 18 il Presidente Joe Biden si è riunito in videoconferenza con il leader europei per discutere naturalmente su come rendere più efficace fra le due sponde dell’oceano la lotta alla pandemia, ma anche per rilanciare una relazione che negli ultimi anni aveva fatto acqua da tutte le parti.

La presenza di Joe Biden al Consiglio Europeo è’ un fatto storico che non succedeva da vent’anni e che dimostra concretamente come in soli due mesi i rapporti transatlantici siano nuovamente solidi e dinamici.

L’era trumpiana delle diffidenze fra i due lati dell’oceano e di un rapporto ridotto ad una serie di eventi transazionali, è definitivamente archiviata.

E il ritmo degli eventi delle ultime settimane disegna non soltanto un “ritorno dell’America”, ma soprattutto un “ritorno dell’Occidente”, nuovamente capace di parlare con una sola voce soprattutto quando in gioco ci sono i valori fondamentali della difesa di un ordine internazionale fondato su diritti e democrazia.

E il rinsaldarsi dei rapporti fra Usa ed Europa è la prima tappa per la costruzione di una nuova e articolata rete di alleanze all’interno del nuovo schema globale di competizione fra “democrazie” e “autocrazie”.

Joe Biden, lo ha ripetuto spesso in molti dei suoi speech degli ultimi mesi: “Il trionfo della democrazia e del liberalismo su fascismo e autocrazie ha creato 70 anni fa il mondo libero che conosciamo. Ma questa storia non definisce soltanto il nostro passato, ma definirà anche il nostro futuro”.

Russia e Cina sono avvisate. 

Alla Casa Bianca è tornato un esponente di quella tradizione democratica wilsoniana che ritiene che la diffusione della democrazia liberale e la tutela dei diritti umani ovunque siano minacciati, siano un primario interessa nazionale e siano pure la migliore “arma di protezione di massa” per gli Stati Uniti stessi.

Joe Biden è dunque lontano anni luce da Donald Trump, ma anche molto diverso da Barack Obama: l’impegno americano torna ad essere globale e “coalizionale”. 

Buone notizie dunque per Europa e Nato: i rapporti transatlantici non saranno più sbeffeggiati e ridotti a un fatto “transazionale”, (con l’accusa costante agli alleati europei di contribuire troppo poco al budget della difesa comune) e la Nato tornerà ad essere il pilastro fondamentale della politica di sicurezza degli Stati Uniti d’America. 

Ma per affrontare insieme le nuove sfide globali della pandemia, del clima, del rilancio delle economia e per costruire una politica di difesa e di sicurezza in grado di contenere le minacce delle autocrazie, Europa ed Usa non bastano più.

Questo il senso del forte rilancio del QUAD, il Quadrilateral Security Dialogue, che per la prima volta si è riunito ai massimi livelli con la partecipazione del premier indiano Narendra Modi, del premier australiano Scott Morrison, del primo ministro giapponese Yoshihide Suga e del Presidente Joe Biden. Il Quad, da strumento leggero come è oggi, potrebbe presto trasformarsi in una nuova organizzazione intergovernativa per coordinare le politiche di difesa e di sicurezza fra le democrazie asiatiche e per implementare la dottrina della “Free and open Indo Pacific Initiative”.

Poi sarà la volta del G-7 a giugno in Gran Bretagna, che sarà allargato a India, Corea del Sud e Australia dando il via alla nascita di un nuovo “D-10”, il gruppo delle 10 più grandi democrazie del pianeta.

Infine in autunno il Summit delle Democrazie fortemente voluto da Joe Biden con l’obiettivo di costruire un’agenda comune fra un numero ampio di paesi democratici per far fronte in modo più adeguato alla sfide sempre più assertive delle autocrazie di Russia e Cina.

L’occidente è dunque tornato con tutta la sua forza che non è soltanto geo-politica o militare, ma soprattuto “valoriale”.

E le sanzioni nei confronti di Pechino coordinate fra Usa, Unione Europea, Gran  Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda sono un elemento di forte novità e di grande impatto.

Sanzioni mirate, nella filosofia dei tanti “Magnitsky Act” approvati in molti paesi occidentali, per far ricordare come le massicce violazioni dei diritti umani non possano essere più derubricate ad un comunicato a “latere” degli incontri bilaterali, ma che diventano parte integrante delle relazioni fra gli Stati.

Il genocidio in corso della minoranza uyghura, lo stravolgimento del patto Sino-Britannico su Hong Kong e la fine del modello “un paese, due sistemi”, l’occupazione e le violenze in Tibet, le minacce a Taiwan, sono nuovamente sul tavolo delle relazioni bilaterali fra l’occidente e la Repubblica Popolare Cinese

E dato che i simboli contano, il primo viaggio all’estero del Segretario di Stato Anthony Blinken e del Segretario alla Difesa Lloyd Austin è stato proprio a Seoul e Tokyo per rinsaldare i rapporti con le democrazie del nord-est asiatico e per preparare il vertice di Anchorage con gli omologhi cinesi, assunto poi agli onori della cronaca mondiale per le prese di posizioni molto dure e sopra le righe della delegazioni di Pechino.

I toni inusuali della cosiddetta “wolf warrior diplomacy” cinese, sono poi accompagnati da gesti che tradiscono un certo nervosismo: la cancellazione con un “click” della catena di “H&M” da tutte le piattaforme di commercio online cinesi,

dopo che la dirigenza della catena svedese di abbigliamento aveva deciso di non utilizzare più il cotone proveniente dallo Xinkiang, conferma molte delle crescenti paure occidentali. Nella Repubblica Popolare Cinese, lo stato può eliminare in pochi minuti dal mercato una qualunque azienda straniera che si permetta di esprimere un normale giudizio sugli standard lavorativi e ambientali della propria filiera produttiva, creando cosi un mercato distorto ed assoggettato non alle regole della normale concorrenza, ma ad un controllo superiore, totalmente discrezionale e condizionato da scelte squisitamente politiche.

La ritorsione cinese, poi, alle sanzioni europee sul Xinkiang è stata molto dura: oltre a dieci parlamentari dell’Assemblea di Strasburgo è stato sanzionato il Comitato Politico e di Sicurezza (CPS) dell’Unione, l’organismo che riunisce gli ambasciatori dei 27 paesi membri e che definisce le linee guida e gli indirizzi in materia di politica estera e di sicurezza comune.

Ma le novità in oriente non si fermano qui.

Il nuovo protagonismo del Quad rivela un altro fatto con grandi implicazioni geopolitiche: il progressivo avvicinarsi dell’India nel campo occidentale.

L’India, da paese leader del Movimento dei Non Allineati, neutrale e spesso con un asse preferenziale con Mosca (anche sulle forniture belliche) è sempre più aperta a forme di “coordinamento avanzato” con l’Occidente, in funzione di “contenimento” cinese da un lato, ma soprattutto per l’accresciuta consapevolezza del proprio valore aggiunto “democratico”.

La più grande democrazia del mondo è sempre più consapevole che un’agenda globale comune con Usa, Europa e le altre democrazie asiatiche, sia la prospettiva più credibile all’orizzonte.

E l’India è il soggetto politico sul quale poggiano tutti i progetti per costruire un’alternativa “democratica” alla Belt & Road Initiative, la nuova Via della Seta di Pechino: il progetto di Narendra Modi dell’Asia-Africa Growth Corridor, insieme al progetto giapponese della Free and Open Indo-Pacific Initiative, sono l’ossatura lungo la quale l’India si sta muovendo per creare un grande spazio di cooperazione economica e commerciale fra la costa orientale dell’Africa e l’Oceano Pacifico, fondato su tre pilastri: la promozione nella vasta area dell’indo-pacifico dello stato di diritto, della libertà di navigazione e del libero commercio; la promozione dello sviluppo economico aumentando la connettività dell’intera regione, l’integrazione economica, lo sviluppo degli investimenti; l’impegno per pace, stabilità e sicurezza nel rispetto delle regole e nel diritto internazionale.

Europa e Usa dunque nuovamente insieme per contenere l’accresciuta assertività delle autocrazie hanno anche dato prova di un’inedita coesione sul dossier “Russia”.

“Crede che Putin sia un killer?” chiede a Biden George Stephanopoulos, capo redattore della ABC e lui risponde “Yes, I do”.

In tre parole sono stati spazzati via troppi anni di un occidente troppo remissivo nei confronti della crescente deriva autoritaria di Mosca.

L’uccisione e l’avvelenamento seriale di tutti i potenziali leader avversi al Cremlino (Boris Nemtsov, Vladimir Kara-Murza, Alexey Navalny); l’accanimento, l’arresto e la fuga di Michael Khodorkovsky, principale azionista di Yukos, espropriato di ogni azione in suo possesso; l’esilio volontario di molti intellettuali (Garry Kasparov), sono la cornice in cui si sono ridotti progressivamente gli spazi di libertà nel paese, con una situazione che peggiora di giorno in giorno.

La vicenda Navalny non si è ancora conclusa e all’arbitrario arresto al suo rientro in Russia, dopo le cure in Germania in seguito all’avvelenamento di stato con l’agente nervino Novichok, è oggi seguito il suo trasferimento in una prigione di massima sicurezza vicino alla città di Vladimir, in cui è rinchiuso in condizione estremamente dure e con un peggioramento progressivo delle sue condizioni di salute.

Navalny non viene curato in prigione e gli esponenti del regime che sono stati sanzionati da Usa ed Europa usando il “Magnitsky Act”, stanno cercando di far fare a Navalny la stessa fine che fece proprio l’avvocato Sergej Leonidovič Magnitskij, morto nel 2009 in un carcere russo in seguito alle torture subite ed all’assenza di adeguate cure mediche.

Ma l’accanimento contro Navalny non è bastato al regime. Proseguono a ritmo serrato gli arresti di quasi tutti i dirigenti della Fondazione Anti-Corruzione, dalla giovane avvocatessa Liubov Sobol, alla leader dell’Alleanza dei Medici Anastasia Vassiliejava, fino l’esilio in Lituania del direttore della fondazione stessa Leonid Volkov, insieme all’arresto di tutti i partecipanti (oltre 160) del recente Forum

dei Consiglieri Municipali Indipendenti eletti in quasi tutte le regioni della Russia.

Dopo l’annessione illegale della Crimea, l’invasione e la guerra nella regione dell’Ucraina orientale del Donbass, l’abbattimento da parte dei ribelli armati con armamento sofisticato da Mosca del volo della Malaysia Airlines con 298 turisti olandesi in vola fra Amsterdam e Kuala Lumpur; l’esportazione di instabilità in Syria e in Libia; gli attacchi informatici e i tentativi di interferenza sul voto Usa; il sostegno spregiudicato a molti movimenti sovranisti e populisti in tutto l’occidente, è giunto il momento per Europa ed Usa di coordinare un’azione più efficace come è accaduto con le sanzioni mirate verso diversi esponenti del regime.

Europa e Usa sono dunque più vicine che mai e sono pronte a sfidare insieme le autocrazie sul terreno sul quale Russia e Cina sono di più sulla difensiva: la democrazia e i diritti umani.

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